Chissenefrega delle distinzioni, dei dettagli, delle sfumature: per il popolo la 2014 rimarrà un’annata schifosa
15/05/2017 Scritto da Gabriele Rosso
Me la ricordo bene, la faccia provata di quel produttore di Serralunga d’Alba, che rassegnato mi diceva «non riesco nemmeno a scendere in vigna a fare i trattamenti. Piove talmente tanto che rischio di finire inghiottito da un mare di fango appena esco di qua». Non aveva utilizzato esattamente questa terminologia così pulita, ma ci siamo capiti. Era l’estate del 2014.
Da settimane si succedevano freddo e piogge torrenziali. Mesi di grigliate cancellate, di gite al mare abortite ancor prima di venire proposte, di felpe spesse e k-way, di ombrelli dimenticati e ricomprati e poi di nuovo dimenticati da qualche parte, di macchine mai lavate, che tanto di lì a poco avrebbe di nuovo cominciato a diluviare.
Ma soprattutto, mesi su cui stava per abbattersi il verdetto (insindacabile?) dei più o meno esperti del settore – che oggi va tanto di moda chiamare influencer (vade retro…) – sui vini del 2014, e chissenefrega se queste condizioni metereologiche non si sono abbattute con la stessa violenza su tutta – ma proprio tutta – l’Italia.
Chissenefrega se a settembre le cose sono migliorate, e di molto, portando perlomeno alcune vigne a recuperare buona parte di quanto lasciato per strada nei mesi precedenti. Chissenefrega se, mentre nella zona del Barolo era quasi unanime il grido d’allarme dei produttori e ancor di più quello dei critici, pochi chilometri più in là, dove nasce il Barbaresco, ha piovuto molto di meno e, anzi, ci si potrebbe quasi rallegrare per un’annata fresca con scodata calda sul finale (ricordo bene però che Giancarlo Gariglio, nell’ottobre del 2014, scrisse qualcosa di significativo e preveggente sulla questione: vai a leggerlo cliccando qui).
Chissenefrega delle distinzioni, dei dettagli, delle sfumature. Il rito del giudizio uniformante sull’annata si è ripetuto senza intoppi. Peccato (si fa per dire) che gli assaggi raccontino una storia almeno in parte diversa. E che chi ama vini più acidi e taglienti, che cedono qualcosa in struttura e rotondità del frutto guadagnando in agilità e a volte anche in eleganza, possa addirittura rimanere soddisfatto dai vini del 2014. Molti Barbaresco di quella “sciagurata” annata raccontano esattamente questa storia, in effetti, proprio mentre a pochi chilometri di distanza i produttori di “The King” Barolo si leccano ancora le ferite per la loro prossima annata in commercio.
E allora, così come tanti (troppi) esperti bevitori si sono lanciati a testa prima nel sentenziare il fallimento di un’intera stagione vitivinicola, ora è nostro compito dire che ci sono numerose eccezioni, che certe zone non hanno seguito l’andamento generale, che molti bravi vignaioli hanno saputo interpretare più che dignitosamente anche un’annata spigolosa come la 2014 (tra parentesi: qui si potrebbe aprire un’altra voragine di discussione, ma non ora…). Come ha fatto recentemente Alfonso Cevola nel suo blog On the Wine Trail in Italy. O come si può facilmente capire contando i produttori che della 2014 metteranno in commercio le loro Riserve.
In fondo il compito della critica non è quello di sfamare greggi di pecore a suon di slogan, anche se questi si vendono bene. A meno che lo slogan non sia un assunto relativista e relativizzante come de annata non est disputandum. Per generalizzare, o fare di tutta l’erba un fascio, c’è sempre tempo durante la vecchiaia: finché abbiamo energie in corpo sforziamoci un pochino di fare distinzioni, o di complicarci la vita soppesando le più piccole sfumature.
Non diventeremo influencer, ma almeno ci godremo vini insospettabilmente buonissimi.